Ci hanno sempre detto: “Fai esperienza e poi potrai parlare”.
È una frase che va bene per qualunque cosa: dall’imparare a suonare la chitarra ad imparare il gioco degli scacchi.
Ma sul lavoro?
Intanto il lavoro è una palestra di esperienze alla quale dedichiamo gran parte della nostra vita, quindi, del nostro tempo. E già per questo vale la pena parlarne.
Tuttavia, sperimentare la realtà del lavoro con la propria vita è cosa ben diversa dall’ascoltare l’esperienza degli altri e immaginare di riprodurla e basta.
E credo che abbia a che fare con “il sogno”.
Ricordate la famosa frase di Shakespeare:
siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni!
(dall’opera teatrale “La Tempesta).
Direte che è azzardata l’equivalenza sogni = esperienza, ma vi invito a guardarvi nello specchio.
Perché potreste confondervi tra voi e la vostra immagine riflessa e la vostra immagine riflessa in quella riflessa nell’immagine riflessa dello specchio, e così all’infinito..
I sogni si vivono durante il sonno e si constatano, a volte, al risveglio: sono fatti di bisogni, di desideri, di paure, che prendono le sembianze più fantasiose, a volte nebulose.
Anche l’esperienza nel lavoro è fatta di paure, desideri, aspettative e bisogni, a causa delle vicende che ci accadono o che facciamo accadere.
E come per il sogno, anche l’esperienza si può vivere nel “sonno” dell’abitudine oppure nella consapevolezza del “risveglio”.
Nel primo caso, intendo dire che dall’esperienza accumuliamo solo fatti e informazioni, senza che ci facciamo prendere da dubbi, riflessioni, approfondimenti, confronti..
Nel secondo caso penso a tutti coloro che si “accorgono” di aver fatto esperienza, quando sono disposti a:
– riflettere sugli effetti che hanno prodotto le loro azioni;
– pensare a quello che avrebbero desiderato e non si è realizzato;
– approfondire “il film” del “già accaduto” per imparare strade nuove;
– immaginare di trasformare qualcosa.
Esiste, però, una differenza tra sogno ed esperienza fin dall’inizio:
- al sogno accediamo involontariamente (tranne che per chi ha visto il film Inception) ma il suo potenziale energizzante o disturbante può dipendere dal nostro vissuto personale, compreso un pasto “non digerito”;
- all’esperienza, quella vera, arriviamo solo dopo aver elaborato pensieri, azioni e reazioni nel corso degli anni, percependola come “vita vissuta”.
Insomma, nell’esperienza che “risveglia” possiamo accorgerci di quanto è ampio il complesso dei bisogni, nostri e altrui; dei desideri profondi, a volte inespressi; delle emozioni, che ci affossano o che ci esaltano e che possono scatenare solo reazioni, a volte azioni, a volte scelte di vita.
Un amico mi diceva che l’esperienza degli altri non serve!
Sembra una frase sprezzante verso coloro che ti aiutano per imparare qualcosa.
Invece, ha un’incredibile valore potenziante per tutti coloro che “dicono di voler crescere”.
Ognuno deve fare la propria esperienza, nonostante si apprenda dagli altri, che siano docenti, colleghi senior o “capi” ma nessuno può risparmiarci la “fatica” di vedere da vicino con i nostri occhi, orecchie, ecc.
A voi la scelta: “pillola rossa o pillola blu” ?
(dal film Matrix 1999)