Cheers a Nobìlita Festival 2022

Riassumo la mia esperienza alla quinta edizione di Nobìlita Festival in doppia, anzi, tripla veste: quella di key account manager per Imola Informatica, quella di responsabile soci di FiordiRisorse (FdR) e quella di persona curiosa. Sapevo già di avere in me molte personalità, ma non mi era ancora capitato di viverle così intensamente sul campo come durante questo festival.

Partecipare a Nobìlita quest’anno per me ha rappresentato infatti tre possibilità: aggiornarmi sui temi della cultura del lavoro da giornalisti, studiosi, manager, selezionati dalla redazione di Senza Filtro, la rivista di cui FdR è editor, stare con gli amici, lavorare con e per il team di FdR per la buona riuscita del Festival, approfittare della presenza dei colleghi di Imola Informatica per conoscerci di più e, infine, fare networking.

Figura 1 – un brindisi con i colleghi di Imola Informatica, dopo lo spettacolo di apertura del Festival “Pugni Chiusi”.

Tra un libro e una tessera venduti al banchetto soci di FdR, le chiacchiere e i saluti alle tante persone che finalmente ho incontrato in presenza, ho potuto assistere a tre dei panel in programma: “I costi invisibili del digitale”, “Elogio dell’incompetenza” e “Grandi dimissioni, grandi sentimenti”. Ecco il mio racconto su questi panel, con alcune considerazioni personali.

I costi invisibili del digitale

C’è molto da riflettere sui costi sottesi a ogni utilizzo, anche piccolo, di ogni device e connessione che utilizziamo. Sono impressionanti i costi energetici dell’invio di ogni mail o del lasciare aperte le applicazioni in background sui nostri cellulari. Non c’è ancora consapevolezza dei costi reali del comunicare continuamente online, anche se, certamente, ci dimentichiamo spesso quanto sarebbe costoso comunicare la stessa mole di dati in modo analogico. Penso che la facilità di trasmissione renda piuttosto semplice generare traffico che nel mondo analogico non avremmo generato. C’è da riflettere sulla carbon footprint di ogni ricerca su Google, ad esempio, rispetto al prendere l’enciclopedia dalla nostra libreria o dalla biblioteca, oppure sulla creazione di tecnologie inutili (come il water digitale giapponese, ad esempio).

I relatori del panel sono stati Mario Tozzi, geologo, (evitiamo di mettere tante persone in conoscenza nelle mail, consumiamo più energia e poi serve tanta ‘vaselina’), Stefano Epifani (ha smorzato alcuni allarmismi a mio parere eccessivi), la presidente Fondazione Sostenibilità digitale, Sabrina Carreras ha parlato del costo del digitale in termini di educazione dei ragazzi (I ragazzi sono perlopiù utilizzatori inconsapevoli, il digitale ha sottolineato le disuguaglianze, la scuola ha privilegiato chi poteva disporne rispetto a chi no: il personale non è formato per questo, il costo indiretto è l’analfabetismo digital), Nicoletta Prandi.

Elogio dell’incompetenza

Questo panel è stato forse più “politico” che tecnico, la presenza da remoto di Marco Travaglio, ha reso inevitabile alcune necessarie domande come quella sulla presunta incompetenza dei Cinque stelle (Travaglio ne ha difeso l’operato e ha affondato sull’incompetenza dei governo Draghi fornendo molti esempi). È stato interessante il giro di risposte alla domanda su cosa si intende per soft skill, che tanto vanno di moda oggi quando si parla di competenze: Tomaso Montanari, rettore università per stranieri di Siena, ha risposto: “La scuola è stata aziendalizzata: invece di insegnare ai giovani la scrittura creativa, sarebbe meglio fargli leggere Thomas Mann” e con questo, secondo me ha detto tutto. Elisabetta Bracci ha fatto una doverosa distinzione tra trasformazione digitale e innovazione (troppo spesso si confondono le cose!), e ha parlato delle soft skill secondo lei necessarie alle persone che si occupano di innovazione: oltre al saper comunicare, sapersi gestire il tempo e saper risolvere problemi e non crearne dei nuovi c’è la capacità di imparare al volo (“learning on the fly”). Marco Carlomagno ha parlato di incompetenza nella PA (le incompetenze più gravi secondo lui sono confondere smart working con il telelavoro, produrre sistemi con dati replicati e “non comunicanti”, non favorire l’inserimento dei giovani).

Con Marco Carlomagno, oltre che segretario generale della FLP è anche nel consiglio direttivo di Italia4blockchain. Nel backstage, al banchetto di Imola Informatica abbiamo chiacchierato a lungo sui temi della blockchain e sulle sue innumerevoli possibilità di applicazione.

Figura 2 – insieme a Marco Carlomagno sui temi della blockchain.

Grandi dimissioni, grandi sentimenti

Osvaldo Danzi, moderatore del panel, ha guidato la discussione legando il tema delle “aziende che non trovano collaboratori” al tema delle grandi dimissioni. Al panel ha partecipato Paolo Conta che ha evidenziato l’oggettiva difficoltà di trovare figure specializzate nel settore IT (il mercato è molto attivo e gli stipendi richiesti da certe figure molto elevati), la necessità di creare un’academy per formare i giovani e l’impossibilità per le piccole aziende di gestire la formazione a distanza.

Per me la cosa interessante è che ha usato la parola impossibilità e difficoltà. A Imola Informatica abbiamo invece qualcosa da dire su questo: possiamo parlare in termini di possibilità di raggiungere l’obiettivo di formare le persone a distanza, mantenendo un equilibrio tra il lavoro da remoto e in presenza.

La soluzione per Paolo Conta è che le aziende facciano rete, creino sinergie, collaborino tra loro.
Che le nuove generazioni di lavoratori preferiscano la possibilità di gestirsi il tempo più che l’auto aziendale sembra un fatto assodato: i ragazzi vogliono un buon stipendio, ma soprattutto cercano un senso nel lavoro che fanno o che gli viene proposto (Alice Siracusano). Secondo Paolo Legrenzi, la tendenza è che il “meno” diventi “più”; “serve coltivare la frugalità”, ed è questa l’origine delle grandi dimissioni: il valore della sottrazione non rientra nel nostro orizzonte culturale perché diamo più valore all’abbondanza, ma sarà il driver del futuro.
Per trovare personale, Luca Lotterio, non si può prescindere dai processi di selezione, dalla comunicazione e dall’employer branding: poi gli imprenditori devono lavorare per mantenere a sé il personale: è l’imprenditore che lavora per il collaboratore.

A fine giornata, dopo tante fatiche ho potuto assaggiare #devhops, la birra brandizzata Imola Informatica, prodotta dal birrificio artigianale Claterna. Un giusto finale per mettere insieme le mie tre personalità, finalmente unite in un brindisi.

Allora cheers al prossimo evento di FdR con Imola Informatica, sponsor dell’evento, ma soprattutto di una buona e migliore cultura del lavoro.

Figura 3 – il collega Mirco Casoni e #devhops”, la birra brandizzata Imola Informatica.

 

Ringraziamo FdR e Domenico Grossi per le foto.

Sono una persona curiosa, sono romagnola e dopo tanti anni vissuti a Bologna, ora vivo a Brisighella (RA) insieme a mio figlio e al mio compagno. Sono laureata in Fisica e lavoro nel settore IT da oltre 20 anni dove ho ricoperto vari ruoli, da presale a project manager fino a diventare key account manager. Sono un'appassionata di tecnologia, ma le persone mi piacciono di più: la vendita è un momento di incontro tra le esigenze i termini tecnologici e umani delle aziende e delle persone che ci lavorano. Sono Responsabile soci e faccio parte del direttivo di FiordRisorse (FdR), la più grande community italiana di imprenditori, manager e professionisti nata su LinkedIn. “Non siamo il lavoro che facciamo” è lo slogan del Manifesto della Cultura del Lavoro di FdR che ho scelto di indossare. Quando mi tolgo la giacca, mi rilasso facendo trekking in montagna o praticando biodanza.