Bambino: Non cercare di piegare il cucchiaio. È impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia: giungere alla verità.
Neo: Quale verità?
Bambino: Che il cucchiaio non esiste.*
*Matrix (1999)
In questi giorni alcuni colleghi mi hanno chiesto di approfondire il tema del debito tecnico.
Si tratta di una metafora inventata da Ward Cunnigham che è stata spesso confusa e che ora è utilizzata per descrivere i difetti di un sistema. In origine, Ward la usava per descrivere la differenza tra quanto era stato richiesto e quanto era stato capito e quindi realizzato.
Non vi era quindi l’ipotesi che la realizzazione avesse dei difetti tecnici, ma piuttosto faceva emergere quei difetti di comprensione tra il tecnico e il committente. Ha comunque vinto l’interpretazione data da Martin Fowler in cui si definisce il debito tecnico come lo sforzo aggiuntivo che si deve fare per evolvere un sistema a causa dei difetti di progettazione iniziale.
Io e miei colleghi abbiamo quindi ragionato su tale tema in ottica di comunicazione tra tecnici e manager con lo scopo di promuovere la qualità attraverso la riduzione del debito tecnico.
Anche noi, come nel film Matrix, abbiamo dovuto scoprire gradualmente la realtà che circonda questo tema e arrivare alla conclusione che il debito tecnico non esiste, per cui è impossibile ridurlo!
Lo so, è un’affermazione estremamente criticabile e stravagante. Va però riportata al contesto in cui tale affermazione si è sviluppata, cioè convincere un manager a fare progetti per la riduzione del debito tecnico in assenza di evidenti lamentele o sprechi di risorse.
Nessun manager di buon senso promuove progetti di “estetica tecnologica” senza riuscire a individuare un qualche vantaggio oggettivo. Quindi tale debito non esiste finché non viene riformulato in ottica manageriale.
Esiste una teoria chiamata ‹‹value innovation››, sviluppata a partire da un articolo sull’Harvard Business Review che a mio parere offre una prospettiva interessante:
Value innovation is a process in which a company introduces new technologies or upgrades that are designed to achieve both product differentiation and low costs.
Credo che questa teoria possa facilmente essere interpretata in termini di Enterprise Architecture.
L’architetto infatti può individuare quelle parti del sistema che possono essere riscritte a fronte di una riduzione dei costi evidente o per la creazione di qualche asset rivendibile. In quest’ultimo caso l’iniziativa è tipicamente di origine commerciale, ma nell’era dell’industria 4.0 non è necessariamente vero. Il primo caso invece dovrebbe essere promosso da “un ufficio architettura” e il valore del progetto sarebbe almeno pari al risparmio ottenuto.
Spostarsi sul piano manageriale è molto difficile, nella teoria della value innovation si ipotizza di identificare la strategia prevalente in azienda e sfidarla sul piano della creazione del valore.
Se già riuscissimo, in qualità di tecnici, a comunicare che stiamo ragionando in questi termini, credo che il rapporto con il top management cambierebbe notevolmente.